Come il sesso biologico può influenzare i sintomi e i risultati della COVID-19
Il sesso biologico può rappresentare un elemento determinante nel modo in cui il corpo risponde all’infezione da COVID-19. Le ricerche indicano che differenze ormonali, fattori genetici e comportamenti legati al sesso possono influenzare la gravità e gli esiti dell’infezione. È importante sottolineare che la maggior parte degli studi in questo campo si concentra principalmente sul sesso assegnato alla nascita e non considera le persone intersessuali o quelle sottoposte a terapia ormonale sostitutiva.
Mortalità complessiva
La ricerca su come i diversi sessi rispondano alla COVID-19 si concentra spesso sugli esiti e sul tasso di mortalità. Le evidenze suggeriscono che i maschi hanno tassi di mortalità leggermente più elevati rispetto alle femmine. Tuttavia, è importante ricordare che gli uomini presentavano già tassi di mortalità più alti prima della pandemia, a causa di comorbidità più frequenti come le malattie cardiovascolari.
Condizionamento dei fattori sociali
Alcuni studi suggeriscono che l’impatto del sesso sulla COVID-19 è meno significativo rispetto ai comportamenti legati al sesso. Ad esempio, ricerche osservazionali negli Stati Uniti hanno evidenziato che gli uomini che fanno acquisti nei negozi hanno una probabilità 1,5 volte inferiore di indossare mascherine rispetto alle donne. Inoltre, gli uomini costituiscono prevalentemente la forza lavoro in settori ad alto rischio di esposizione al virus, come l’agricoltura, l’edilizia e la manutenzione.
Risposta immunitaria adattativa
Uno studio condotto a Wuhan ha mostrato che le donne affette da COVID-19 presentavano livelli più alti di immunoglobulina G contro il SARS-CoV-2, suggerendo risposte immunitarie adattative più forti. Questa scoperta è coerente con risultati precedenti che indicano una maggiore produzione di anticorpi e risposte vaccinali più robuste nelle femmine, rendendo più efficace la loro lotta contro infezioni come la COVID-19.
Rapporto tra neutrofili e linfociti
I neutrofili e i linfociti sono cellule immunitarie fondamentali per combattere le infezioni. In studi sulla COVID-19, è emerso che le donne sotto i 50 anni e gli uomini sopra i 50 hanno un rapporto neutrofili/linfociti più elevato rispetto ad altre popolazioni. Gli studiosi ritengono che analisi del sangue di routine che valutano questo rapporto potrebbero eventualmente prevedere la gravità dell’infezione, ma sono necessarie ulteriori ricerche per definire il valore prognostico di tale rapporto.
ACE2 ed estrogeni
L’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2) è un recettore presente su diverse superfici cellulari, particolarmente nel cuore, reni, polmoni e plasma. Crescenti evidenze suggeriscono che l’ACE2 è implicato nell’ingresso del virus SARS-CoV-2 nelle cellule, oltre che nella progressione dell’infezione. In generale, la presenza di due copie di un gene, come avviene nelle femmine, tende a ridurre gli effetti delle malattie legate al cromosoma X, mentre questi aumentano nei maschi che possiedono una sola copia. Inoltre, gli estrogeni possono modulare l’espressione dell’ACE2, riducendo l’infiammazione e la fibrosi dei tessuti, migliorandone la riparazione.
TMPRSS2 e androgeni
Gli esperti ipotizzano differenze legate al sesso nell’interazione tra COVID-19 e la proteina TMPRSS2, una serina proteasi correlata al cancro alla prostata. Il virus utilizza TMPRSS2 per entrare e attaccarsi alle cellule. Gli androgeni, responsabili dei caratteri maschili, sono l’unico stimolo noto per la trascrizione del gene TMPRSS2. Nelle persone affette da cancro alla prostata, la terapia di deprivazione androgenica riduce il rischio e le persone con alopecia androgenetica manifestano spesso sintomi più gravi di COVID-19. Queste osservazioni possono suggerire un rischio maggiore di infezione nei maschi e spiegare la minore gravità dei sintomi nei bambini piccoli.
Funzione epatica
La COVID-19 può influire sul fegato attraverso meccanismi come la tossicità cellulare e l’infiammazione. Gli esperti hanno individuato livelli più elevati di specifici biomarcatori nei pazienti infetti, associati a sintomi più gravi e maggiore mortalità. Nei maschi, sono stati riscontrati valori significativamente più elevati, suggerendo un rischio maggiore di complicanze epatiche post-infezione.
Problemi di coagulazione
Le forme gravi di COVID-19 spesso comportano alterazioni della coagulazione del sangue. In uno studio, oltre il 70% dei pazienti deceduti a causa della COVID-19 presentava un raro disturbo della coagulazione, rispetto allo 0,6% dei sopravvissuti. Gli studi sui meccanismi della coagulazione indicano risultati più favorevoli nelle donne, specialmente se in premenopausa. I maschi, invece, sono più propensi a manifestare anomalie della coagulazione e altri sintomi legati al sangue.
Terapia ormonale sostitutiva
Gli steroidi sessuali come testosterone, estrogeni e progesterone regolano le risposte immunitarie e infiammatorie. Gli estrogeni pre-menopausa offrono proprietà antinfiammatorie, mentre il testosterone abbina effetti simili a capacità anabolizzanti che riducono i danni polmonari. Adulti anziani con bassi livelli di steroidi sessuali potrebbero beneficiare della terapia ormonale sostitutiva per trattare sintomi prolungati della COVID.
Trattamenti futuri
Le differenze sessuali potrebbero influenzare l’efficacia dei trattamenti contro la COVID-19. La regolazione degli interferoni di tipo 1 (IFN) da parte dei recettori toll-like è un meccanismo difensivo fondamentale contro i virus. Questi recettori sono dieci volte più comuni nelle femmine che nei maschi e il testosterone può inibire l’IFN. Attualmente, la terapia con IFN è in fase di studio come trattamento contro la COVID. Le donne potrebbero rispondere in modo più efficace rispetto agli uomini. Tuttavia, questa differenza presenta potenziali rischi, indicando che i trattamenti futuri potrebbero dover essere altamente personalizzati e, in alcuni casi, basati sul sesso.